Body shaming: cos’è e perché fa male

Scritto da
Alessia Di Bari
09
July
2025

Indice

  1. ¿Che cos'è un piano di formazione?
  2. Obiettivi di un piano di formazione per l'azienda
  3. ¿Perché investire in un piano di formazione?
  4. ¿Come elaborare un piano di formazione?
  5. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  6. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  7. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  8. Esempi di piani di formazione nelle aziende

Il body shaming è una forma di violenza psicologica basata sull’aspetto fisico. Letteralmente significa “provocare vergogna per il corpo” ed è il giudizio, spesso non richiesto, che una persona riceve per il suo corpo: troppo grasso, troppo magro, troppo alto, basso, peloso, con cicatrici, smagliature, acne o semplicemente diverso dai canoni imposti. A volte arriva dall’esterno, dai media, dalla famiglia o da un partner, altre volte si trasforma in una voce interiore che ripete “così non vai bene”.

Non riguarda solo il peso (come accade nella grassofobia), ma ogni parte del corpo che viene percepita come “difettosa” rispetto a standard estetici irrealistici e omologanti. Rientrano in questa forma di discriminazione: la derisione per il colore della pelle, per tratti somatici, per il tipo di capelli, per avere un corpo disabile o neurodivergente, per non corrispondere ai canoni cis-normati o binari, per il modo in cui si invecchia o si cambia nel tempo.

In una cultura ossessionata dal controllo dei corpi, il body shaming agisce come un meccanismo di esclusione e conformismo. E quando viene interiorizzato, diventa una gabbia invisibile che ci impedisce di sentirci liberi di vivere e abitare il nostro corpo. Diversi studi confermano il legame tra body shaming e impatti sulla salute mentale: autostima bassa, disturbi alimentari, ansia sociale, depressione e isolamento. Secondo il report 2023 dell’OMS sull’immagine corporea nei giovani europei, oltre il 55% delle ragazze adolescenti e il 32% dei ragazzi dichiarano di non piacersi fisicamente, con picchi più alti nei paesi dove la pressione estetica è più forte e la diversità dei corpi meno rappresentata.

E in Italia? La narrazione dominante promuove ancora un ideale unico di corpo sano, magro, bianco, giovane, normato. Mancano politiche pubbliche per l’educazione all’accettazione corporea e troppo spesso il disagio viene banalizzato come un problema di “insicurezza” personale, ignorando le sue radici culturali, strutturali e intersezionali.

Cos’è il body shaming?

Il body shaming può assumere molte forme: un commento sul peso, una battuta sull’altezza, un consiglio non richiesto sul corpo, uno sguardo che giudica, un consiglio travestito da “preoccupazione per la salute”. Ma non si limita al grasso o alla magrezza. Riguarda tutto ciò che viene percepito come fuori dalla norma estetica dominante: l’età, i peli corporei, le cicatrici, l’acne, le smagliature, le disabilità visibili o invisibili, le caratteristiche intersex, il corpo trans o non binario, i seni troppo grandi o troppo piccoli, la pelle troppo scura o troppo chiara, e persino la voce o il portamento.

Il body shaming non nasce nel vuoto, è il prodotto di una cultura che ha costruito l’idea di “corpo giusto” e “corpo sbagliato” in base a norme estetiche coloniali, patriarcali, abiliste e grassofobiche. Come sottolinea la ricercatrice Sabrina Strings nel suo libro Fearing the Black Body (2019), la stigmatizzazione del grasso affonda le radici nel razzismo e nel controllo dei corpi femminili.

Ma queste idee non si apprendono solo dai media o dalla società in generale, spesso le prime forme di body shaming arrivano in famiglia: genitori che commentano il corpo dei figli, che elogiano solo se si dimagrisce, che mettono a dieta una bambina a 10 anni, che deridono un adolescente per il suo corpo che cambia. Anche quando mosse da “preoccupazione” o affetto, queste osservazioni costruiscono la convinzione che per essere amati o rispettati, dobbiamo avere un certo tipo di corpo.

In Italia, il body shaming è ancora spesso normalizzato, viene minimizzato come “scherzo”, “preoccupazione” o “opinione personale”. Questo rende difficile per chi lo subisce riconoscerlo come una forma di violenza simbolica e strutturale. Inoltre, mancando una reale educazione all’affettività e alla corporeità, né a scuola né nei servizi sanitari, si tende a interiorizzare il messaggio che il proprio corpo debba sempre essere corretto, modificato, disciplinato.

Quando il body shaming viene interiorizzato, prende la forma di un dialogo interno crudele: “Se fossi più magrə, mi amerebbero”, “con quel corpo non puoi essere desiderabilə”, “non puoi vestirti così”. Come affermano Brown & Dittmar (2005), l’insoddisfazione corporea può diventare cronica e incidere su scelte di vita, performance sessuale, relazioni intime e autostima.

La sessuologia, in quanto disciplina che studia la relazione tra corpo, emozioni, identità e piacere, ha il compito di interrogarsi sul peso che lo stigma corporeo ha sulla sessualità delle persone. Perché un corpo giudicato è spesso un corpo che non si sente libero di desiderare, di lasciarsi andare, di esplorare o di mostrarsi.

Commenti sul corpo e salute mentale

Le parole possono ferire tanto quanto i gesti, e a volte anche di più. Chi subisce body shaming può sperimentare vergogna del corpo, bassa autostima, senso di inadeguatezza, ansia sociale, ritiro e difficoltà relazionali e sessuali. Uno studio pubblicato sul Journal of Adolescent Health (Puhl et al., 2017) ha mostrato che le adolescenti che ricevono commenti sul peso da familiari o amici hanno una probabilità significativamente più alta di sviluppare sintomi depressivi e comportamenti alimentari disfunzionali.

Non si tratta solo di commenti diretti: anche i silenzi, le espressioni non verbali, i confronti impliciti e le continue allusioni ai “corpi ideali” generano un clima costante di giudizio. Nel tempo, queste esperienze possono diventare pensieri ricorrenti che condizionano la vita quotidiana: c’è chi si veste solo per nascondersi, chi evita lo specchio, chi rifiuta le foto, chi rinuncia a momenti di intimità per paura di non essere abbastanza.

La vergogna corporea (body shame), come dimostrano le ricerche di Brené Brown, è una delle emozioni più paralizzanti: mina la connessione con gli altri, blocca la creatività, alimenta il bisogno di perfezione e rende difficile provare piacere. In ambito sessuale, può manifestarsi con ansia da prestazione, difficoltà di abbandono, evitamento del contatto fisico, fino ad arrivare a vere e proprie disfunzioni sessuali.

Il body shaming interiorizzato è una delle forme più insidiose: quando la critica non arriva più solo da fuori, ma si insinua nella voce interna che dice “non sei desiderabile”, “non vali abbastanza”, “nessuno ti amerà così”. Questa voce, se non viene riconosciuta e rielaborata, può diventare una gabbia invisibile che impedisce di vivere il corpo come uno spazio di libertà e piacere.

Parlare dell’impatto del body shaming sulla salute mentale non significa patologizzare l’esperienza, ma restituirle la giusta dignità. Anche chi sembra “forte” o “indifferente” può portare dentro le ferite di anni di giudizi, confronti e silenzi. Anche chi non lo mostra può sentirsi fragile davanti allo specchio.

Body shaming sui social: quando lo schermo amplifica il dolore

Sui social, il body shaming trova terreno fertile. Piattaforme come Instagram, TikTok o Facebook sono spesso spazi dove il corpo viene esposto, giudicato, idealizzato o ridicolizzato. Le immagini iperfiltrate, i “corpi perfetti”, i video virali e i commenti crudeli creano un ecosistema in cui la pressione estetica è continua e soffocante.

Secondo uno studio dell’American Psychological Association (APA, 2019), l’uso intenso dei social media è associato a un aumento della body dissatisfaction e dei sintomi depressivi, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti. In Italia, secondo un report realizzato da Skuola.net, Lines e Tampax, quasi il 90 % degli adolescenti ha vissuto body shaming almeno una volta e per il 30 % è un fenomeno quotidiano.
Inoltre, una ricerca di Depressione Stop riporta che il 94 % delle ragazze e il 65 % dei ragazzi hanno ricevuto commenti umilianti sul proprio aspetto. Infine, l’HBSC-ISS 2021‑2022 rileva che più del 60 % degli adolescenti italiani ha subito body shaming almeno una volta.

Il body shaming sui social non colpisce solo chi si discosta dagli standard estetici dominanti, ma anche chi li incarna: il corpo diventa oggetto di valutazione pubblica, e ogni piccolo dettaglio può diventare bersaglio. Da qui nascono i fenomeni del fit-shaming, skinny-shaming, pregnancy-shaming, ma anche attacchi a chi mostra corpi segnati, disabili, queer, non conformi.

Tra adolescenti, l’impatto può essere devastante. Durante l’età dello sviluppo corporeo e identitario, anche un singolo commento negativo può lasciare una ferita duratura. La paura di essere derisi può spingere all’isolamento, all’evitamento sociale e persino a pratiche pericolose per “rientrare nella norma”.

In questo contesto, è fondamentale riconoscere che il body shaming online non è “solo uno scherzo”: è una forma di violenza psicologica. E come tale, ha effetti profondi sul benessere mentale, emotivo e sessuale. Serve un cambiamento culturale e digitale, alfabetizzazione emotiva, educazione sessuale integrale e sensibilizzazione all’empatia digitale. Ma soprattutto serve disinnescare l’idea che un corpo valga solo se ottiene like.

I social possono anche diventare alleati: quando sono abitati da voci inclusive, corpi reali, testimonianze di resistenza. È lì che nasce una nuova cultura dell’immagine: non centrata sulla perfezione, ma sull’autenticità e sul rispetto.

Come reagire al body shaming

Reagire al body shaming non è sempre immediato, soprattutto quando i commenti offensivi provengono da persone vicine, amici, partner, colleghi o familiari, oppure quando sono diventati parte di un dialogo interno silenzioso ma costante. Ma è possibile interrompere questo ciclo e iniziare a costruire una relazione più sana con il proprio corpo e con gli altri.

Riconoscere che il corpo non è il problema
Il primo passo è comprendere che il problema non è il corpo, ma la cultura che lo giudica. Il body shaming non nasce da una reale preoccupazione per la salute, ma da standard estetici rigidi e normativi che escludono la diversità. Come sostiene la ricercatrice Sabrina Strings (2019), il disprezzo per certi corpi è radicato in costruzioni culturali, razziste e sessiste, non in evidenze mediche.

Stabilire confini
Dire “questa frase mi ferisce” o “non voglio ricevere commenti sul mio corpo” è un atto legittimo. Questo vale anche in famiglia, dove spesso le osservazioni passano come “preoccupazione” o “abitudine”. È importante imparare a riconoscere e nominare il disagio. Imparare a porre limiti è anche un atto di cura verso di sé.

Prendersi cura della propria igiene digitale
Limitare l’esposizione a contenuti tossici sui social, smettere di seguire profili che alimentano insicurezze e scegliere invece voci che promuovono accettazione, diversità e compassione corporea è un modo concreto per proteggere la propria salute mentale. La psicologa Renee Engeln (2017) suggerisce che la nostra dieta mediatica è tanto importante quanto quella alimentare: ciò che consumiamo online modella il modo in cui vediamo noi stessi.

Coltivare un dialogo interno più gentile
Il body shaming più insidioso è spesso quello interiorizzato: quella voce dentro di noi che ripete “non sei abbastanza”. Sviluppare consapevolezza su questi automatismi e iniziare a sostituirli con pensieri più compassionevoli è un processo lungo ma trasformativo. La terapia, l’educazione sessuale positiva e le pratiche di mindfulness possono essere strumenti preziosi.

Chiedere supporto
Condividere ciò che si prova con una persona di fiducia -un’amica, un gruppo, un professionista- può fare la differenza. La vergogna si nutre di silenzio: parlarne interrompe l’isolamento e apre la possibilità di essere visti e accolti.

Riabitare il corpo con piacere
Muoversi, respirare, ballare, toccarsi, esplorarsi… non per cambiare il corpo, ma per riconnettersi con esso. Il piacere corporeo non è un privilegio riservato a pochi, ma un diritto universale. Ogni corpo ha diritto a esistere e a essere abitato con dignità e libertà.

Reagire al body shaming non significa diventare invulnerabili, ma riconoscere il proprio valore, disinnescare la vergogna e scegliere ogni giorno di costruire un rapporto più autentico e compassionevole con sé.

Conclusione

Il body shaming non è solo una questione estetica: è una ferita che si incide nel modo in cui ci percepiamo, ci relazioniamo e abitiamo il nostro corpo. Quando il corpo diventa un campo di battaglia fatto di confronti, commenti e giudizi, la sessualità, l’autostima e le relazioni ne risentono profondamente.

Chiedere aiuto non è debolezza, ma un gesto di forza. Un percorso con unə professionista può offrire uno spazio sicuro dove ricucire le fratture con l’immagine di sé, decostruire gli standard appresi e rimettere il corpo, il proprio corpo, al centro dell’esperienza di piacere, libertà e benessere.

Lavorare sulla vergogna del corpo, sull’identità corporea e sull’autocompassione non è solo un atto di guarigione personale: è anche un atto politico. In una società che spesso ci vuole piccoli, conformi e silenziosi, scegliere di abitare il proprio corpo con dignità è un gesto rivoluzionario. Il corpo non è un problema da risolvere, è una casa, e merita rispetto, ascolto, cura e amore. Sempre.

Alessia Di Bari: Laureata in comunicazione. Master in sessuologia. Dottorato in Sessualità Umanistica. Attivista anti grassofobia, per la diversità corporea e fat acceptance. Speaker TEDx e divulgatrice sessuale.

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