Educare alle emozioni: perché serve l’educazione psicoaffettiva a scuola 

Scritto da
Giulia Leto
04
September
2025

Indice

  1. ¿Che cos'è un piano di formazione?
  2. Obiettivi di un piano di formazione per l'azienda
  3. ¿Perché investire in un piano di formazione?
  4. ¿Come elaborare un piano di formazione?
  5. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  6. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  7. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  8. Esempi di piani di formazione nelle aziende

Il dibattito circa l’educazione psicoaffettiva all’interno degli istituti scolastici è al momento sempre più vivo, coinvolgendo l’intera comunità di professionisti del settore e non. In questo senso, quindi, il ruolo che la scuola deve assumere dinanzi a questa area di crescita e sviluppo individuale non risulta ancora definito. Attualmente, infatti, nel panorama scolastico italiano, il tema rimane ai margini dell’offerta formativa o affidato a progetti temporanei.  

Oggi vogliamo provare ad accendere una luce che ci consenta di riflettere insieme sull’argomento, cosa sia l’educazione psicoaffettiva nelle scuole e perché risulti così tanto importante parlarne e affrontarla.

Il ruolo della scuola

La scuola, difatti, è il primo luogo di aggregazione che l’individuo incontra nel suo percorso di formazione e soprattutto di vita. Fin dalla tenera età, il bambino comincia a frequentare l’ambiente scolastico entrando a contatto con coetanei e non, adulti di riferimento e pertanto nuove autorità, nuove regole, nuovi linguaggi. Un ambiente in cui il soggetto ha la possibilità di incontrare differenze, ma anche riconoscersi nel sistema altrui e nelle esperienze emotive dei compagni. Una nuova sfida, dunque, che non comporta solo un apprendimento frontale rispetto ai temi di cultura generale, ma anche e soprattutto sotto il punto di vista più globale. Gli insegnanti assumono un ruolo cardine nella crescita dell’individuo, divenendo potenzialmente punti di riferimento, figure sicure da interiorizzare. Fra i banchi di scuola, si creano i primi legami, le prime amicizie, nasce e si consolida tendenzialmente la figura del migliore amico (in questo caso, ricordiamo il contributo di H.S. Sullivan, il quale definiva l’amico del cuore, come quell’esperienza relazionale che consente di sperimentare la validazione consensuale, assumendo una reciproca comprensione dei vissuti e delle esperienze di vita). Non solo. È l’alba anche dei primi amori, delle prime attrazioni e del desiderio di unirsi all’altro.  

Il ruolo della scuola è evidente, quindi, che non possa essere ridotto al mero insegnamento, ma che rappresenti invece un luogo molto più complesso in termini emotivi, forse oggi ancora di più.

Un passo indietro… parliamo prima di emozioni  

Lo sappiamo, le emozioni sono una componente fondamentale dell’evoluzione, vissuto e quindi vita dell’individuo. Ma cosa sono e a cosa servono? In linea di massima, le emozioni possono essere concettualizzate come un sistema complesso composto da elementi comportamentali, sentimenti, espressioni e cambiamenti a livello fisiologico. In un’ottica più funzionale, sono pensate come dei promotori di agiti che permettono di porre in essere reazioni congrue a taluni eventi.  A prescindere dalla loro definizione – nel corso del tempo le ricerche si sono sviluppate sempre più, promuovendo differenti teorie e letture -, la gestione di queste diviene fondamentale per una maggior comprensione anche degli affetti. Pensiamo ad esempio ai legami, in cui è necessario conoscere le proprie reazioni, vissuti, capacità di gestione, ma anche avere una buona mentalizzazione per poter comprendere e leggere le emozioni altrui e riuscire a contenerle e instaurare, di conseguenza, relazioni sane.

Quindi, cos’è l’educazione psicoaffettiva?

In generale, quando si parla di educazione psicoaffettiva facciamo riferimento a percorsi formativi che vertono sullo sviluppo di consapevolezza circa le emozioni, capacità di espressione di queste, gestione dei conflitti e costruzione di legami rispettosi, consapevoli e responsabili negli studenti. L’educazione psicoaffettiva può includere aspetti sia di natura relazionale, sia affettivi che sessuali, coniugando emotività e aspetti sociali dell’individuo.  

Lang, nel 1994, parlava dell’importanza dell’educazione socioaffettiva intesa come una componente del processo educativo legata ad “atteggiamenti, sentimenti, credenze ed emozioni degli studenti”. Il suo scopo era rivolto alla crescita individuale e sociale dei giovani, proponendo una visione interpersonale capace di connettere elementi cognitivi ed emotivi. Non solo. La possibilità di avere maggior consapevolezza emotiva consente inoltre l’incentivo verso una responsabilità individuale e societaria, con alla base una buona mentalizzazione genitoriale.  

È chiaro che la responsabilità non sia attribuibile (unicamente) al percorso scolastico, ma quello cui si deve puntare è un lavoro di collaborazione fra le varie componenti educative che ruotano attorno al bambino, dall’imprescindibile ruolo genitoriale a quello dell’istituzione. Ogni ambiente svolge la sua parte nella crescita emotiva del singolo, fornendo strumenti che possano far nascere e/o incentivare lo sviluppo in questo senso. Alcuni studi (Johnson, 2001) dimostrano come questo genere di integrazione punti verso la costruzione di un Sé positivo, mediante la promulgazione di abilità che consentano lo sviluppo di cooperazione gruppale, condivisione, comunicazione e ascolto, promuovendo l’adattabilità alle circostanze.

Come farlo?

In psicologia esistono diverse metodologie e tecniche cui fare riferimento nella stesura di un progetto da condurre, ad esempio, in un istituto scolastico. Per l’educazione psicoaffettiva, a prescindere dall’incontro con l’esperto capace di fornire informazioni e dunque formare circa alcuni elementi più emotivi, possiamo pensare ad attività che puntino verso una riflessione su sé, l’altro e in qualche modo permettano di sentirsi. Pensiamo a tecniche come il role playing, in cui l’individuo, mediante una sorta di rappresentazione teatrale, può interpretare e mettersi nei panni di una circostanza e immedesimarsi rispetto a questa. Metodologie come questa, ma anche come il circle time, brainstorming, utilizzo di immagini, fotografie, storie, consentono una riflessione che verta più sul lato emotivo, risultando meno strutturato in termini di gerarchia, più aperto nel dialogo, alimentando un confronto aperto, ma rispettoso e non giudicante.

Perché è così importante

Il dibattito sul tema oggi è sempre più presente anche in relazione ai numerosi fatti di cronaca cui assistiamo sempre più spesso. È chiaro che i fattori sottesi a ciò che purtroppo accade frequentemente siano molteplici e non riducibili. L’educazione psicoaffettiva nelle scuole, dunque, si deve porre come il primo tassello verso una sensibilizzazione ulteriore, coinvolgendo il luogo della scuola, che rappresenta indubbiamente un universo complesso e di primaria importanza per la crescita dell’individuo, in cui il soggetto trascorre gran parte del suo tempo e dove si giocano i primi legami con i compagni.  

L’educazione psicoaffettiva può strutturarsi, quindi, come un momento fondamentale per il soggetto, il quale può affrontare dubbi, temi, talvolta anche taciuti nelle mura domestiche, comprendere, come già ribadito, il sistema interno altrui e confrontarsi con questo per un pieno sviluppo di Sé. L’affettività è un elemento chiave della vita di ognuno di noi e si dipana su tanti fronti, da quello prettamente relazionale, a quello sentimentale, fino a quello sessuale. Non dobbiamo avere il timore di parlarne. Trovare i giusti termini, fornire informazioni corrette, far comprendere i confini e imparare a leggere i bisogni di chi ci sta attorno è compito dell’intera comunità.

Giulia Leto: Psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico e sessuologa clinica. In ambito sessuologico, si occupa principalmente di disfunzioni sessuali individuali e di coppia, dipendenze sessuologiche e affettive.