Il coming out in età adulta: sfide e opportunità 

Scritto da
Giulia Leto
05
May
2025

Indice

  1. ¿Che cos'è un piano di formazione?
  2. Obiettivi di un piano di formazione per l'azienda
  3. ¿Perché investire in un piano di formazione?
  4. ¿Come elaborare un piano di formazione?
  5. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  6. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  7. Esempi di piani di formazione nelle aziende
  8. Esempi di piani di formazione nelle aziende

Quando facciamo riferimento al termine coming out intendiamo comunemente la costruzione della sessualità, nel senso di desiderio erotico e amoroso, fino all’esternazione della stessa. Un processo lento, talvolta molto complesso, che non si limita a inglobare elementi solo ad appannaggio della sessualità in senso stretto, ma anche identitari. Il coming out non è un momento singolo, ma si tratta di un vero e proprio percorso che in un certo senso non termina mai, alla cui base possono esserci forti emozioni contrastanti.  

Con questo contributo, vogliamo soffermarci sulla storia e l’importanza del coming out, esplorare il vissuto correlato al rivelare una parte di sé fondamentale in età adulta, quando le reti sociali sono tendenzialmente consolidate e raccontarsi può costituirsi come una sfida ancora più complessa.  

Cos’è il coming out?

Il termine deriva da coming out of the closet, con cui si intende il far emergere aspetti tenuti nascosti, custoditi, esattamente come i vestiti in un armadio. D’altra parte, nella storia dell’umanità, l’omosessualità è stata connotata per secoli come qualcosa da nascondere, celare, non dichiarare. Pensiamo anche solo al fatto che il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ha eliminato a metà anni ’70 circa la variante egosintonica dell’omosessualità – condizione priva di conflitti in riferimento a ciò che l’individuo vive – e a fine anni ’80 quella egodistonica – in quanto si concordava che il vissuto fosse una conseguenza dall’interiorizzazione dello stigma sociale. Solo a inizio anni ’90, l’ICD (classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati dell'Organizzazione mondiale della sanità) ha deciso di rimuovere la categoria dal suo elenco.  

Pertanto, il coming out è un atto-processo che ha una storia significativa e dolorosa dietro e dentro di sé e ancora oggi, nonostante l’evoluzione a tal proposito da parte della società, rimane comunque qualcosa di complesso da affrontare. Come ricorda anche Vittorio Lingiardi, si tratta di un momento di chiusura rispetto a un percorso di coming out prima con sé stessi, per cui il proprio orientamento sessuale è stato compreso, accettato, visto in riferimento alla propria persona e dunque, adesso, l’individuo è pronto a condividere questa parte di sé con gli altri.  

Siamo consapevoli che parlare di accettazione implica l’idea di qualcosa da dover masticare e digerire, come se fosse scomodo da buttare giù. Ma negare un certo grado di non inclusione ancora oggi nella società e anche nell’individuo stesso, sarebbe non tenere di conto di ciò che accade nella realtà e di conseguenza non dare valore al dolore della persona che vive il processo di coming out. Perché ad oggi esistono ancora ambienti, anche amicali e familiari, in cui vige uno stigma radicato, portando talvolta a omofobia interiorizzata, vissuti di non accettazione, chiusura, ricerca di cambiamenti forzati, generando circoli viziosi di sofferenza che inglobano la persona a tanti livelli.  

Le dimensioni dell’orientamento sessuale

Partiamo intanto con la definizione di orientamento sessuale secondo la letteratura (Standfort, 2005; Kinnish et al., 2005), con cui intendiamo l’attrazione erotica e affettiva verso qualcosa o qualcuno. Questo include un certo grado di complessità, poiché tiene di conto di diverse dimensioni, quali (1) il comportamento sessuale, riassumibile come con chi il soggetto ha rapporti intimi, (2) l’attrazione erotica, ovvero la dimensione del desiderio, (3) l’oggetto delle fantasie sessuali, (4) verso chi è rivolto l’innamoramento e (5) come il soggetto si definisce.  

Tutte queste dimensioni non sono marmoree e fisse, ma anzi, possono variare nel corso del tempo e anche risultare incongruenti fra loro. Per tale ragione, l’orientamento sessuale è qualcosa di estremamente soggettivo e non monolitico.  

Fare coming out

Secondo le statistiche, l’età del coming out è indicativamente collocabile a cavallo fra la tarda adolescenza e la prima età adulta. Gli impulsi sessuali, la carica affettiva, l’innamoramento, le fantasie sessuali giungono tendenzialmente prima di questo lasso temporale. Il giovane adulto ha già scoperto dentro di sé i propri desideri, ma, come sovrascritto, solo dopo un processo interiore potrà arrivare a una piena definizione di sé. Per tutte queste ragioni, non esiste un’età corretta o indicata in cui fare coming out. Il processo può richiedere tempo e a volte è necessario tenere nella mente eventuali pressioni familiari e contesti culturali rigidi. È probabile che raccontarsi con amici e parenti possa risultare più semplice, considerato il legame di base, ma è altrettanto plausibile che, talvolta, sia più semplice partire da contesti differenti. Non esiste dunque uno schema rigido da seguire. Come ogni aspetto di vita, l’individuo deve sentire sé stesso, capirsi, comprendere l’ambiente e solo in quel momento decidere come muoversi.

Quali paure? 

Siamo portati a credere che l’individuo adulto viva con meno timori alcune condizioni esistenziali. Il proprio bagaglio di vita, le esperienze, le sicurezze acquisite sono probabilmente maggiori di un ragazzo giovane che si affaccia al mondo. Tuttavia, oltre a non essere così scontato che l’età adulta fornisca una serie di garanzie, non è neanche così doveroso che tutto risulti più semplice da gestire.  

Fare coming out in età adulta comporta una serie di vissuti importanti, talvolta in un certo senso anche più complessi. Pensiamo anche solo al fatto che tendenzialmente le persone hanno costruito maggiori relazioni affettive, famiglie, carriere, reti sociali più ampie. In qualche modo, attraverso la vita condivisa, si è già esposto per lungo tempo. Raccontarsi può significare mettere in discussione tutto questo, fare i conti con la paura del giudizio di chi ha condiviso un pezzo di strada insieme, temere la delusione di familiari (non di rado, si sente dire “non se lo aspettano da me, penseranno che abbia mentito loro tutta la vita”). La sofferenza connessa all’esposizione di una parte di sé così importante, intima e carica di emozioni in guerra fra loro, può comportare vissuti intensi connessi anche a isolamento, ansia e depressione.  

Se il coming out può condurre verso l’opportunità di recuperare parti di sé, dall’altra può anche scatenare un forte senso di colpa e vergogna, sia per i motivi che abbiamo elencato precedentemente, sia e soprattutto se l’ambiente attorno non risulta accogliente ed empatico. Di conseguenza, è chiaro che tutto ciò dipenda in larga parte anche da un senso di non accettazione che potrebbe scaturire dall’esterno. Pensiamo anche a tutti quei casi di persone che fanno coming out in età adulta dopo aver avuto figli da relazioni eterosessuali. L’individuo è possibile che si trovi a fare i conti con il senso di colpa in qualità di genitore, tema di perdere il proprio figlio o sentirsi additato come sbagliato da parte di parenti.  

Fare coming out, nei termini di rivelazione di sé, in questi casi può essere ancora più complesso e comporta un livello di stress molto alto. Stress che al contempo si è accumulato nel corso degli anni per la difficoltà di esprimersi e raccontarsi.  

Riappropriarsi di sé

Condividere i propri affetti, quotidianità, ricordi e sogni futuri con le persone care può rappresentare parte del senso di sé. In tutte le difficoltà che abbiamo elencato precedentemente, è possibile anche che la paura prenda il sopravvento e che dall’altra parte si trovi invece una rete pronta a comprendere e desiderosa di conoscere aspetti nuovi dell’individuo. Raccontarsi, alla fine dei conti, è un’opportunità e una risorsa di vita, che può arricchire non solo chi compie l’atto, ma anche chi ascolta. È la possibilità di non chiudersi dentro un’identità serrata, ma iniziare a vedere le sfumature del caleidoscopio che rappresentiamo, aprendo così a nuove narrazioni di sé.  

Non solo. Il coming out può mettere in contatto con relazioni significative di persone che hanno vissuto le medesime paure, gli stessi momenti e dunque riconoscersi all’interno di una comunità, divenendo magari anche uno stimolo e un esempio per coloro che ancora non hanno concluso il proprio intimo processo interiore.  

Conclusione

Alla luce di quanto esposto, è chiaro quanto il coming out in età adulta non possa e non debba essere considerato un fallimento sulla tabella di marcia dell’esistenza, ma abbia la forma di un atto profondo che coinvolge l’individuo sotto tanti punti di vista, avendo a che fare anche con un processo di cambiamento che può durare tutta la vita. Ogni individuo ha la propria storia che scandisce anche il tempo di riflessione e di conoscenza di sé. La possibilità di raccontarsi e condividere sé non è un fattore di età, anche perché le strade emotive prendono direzioni che tengono conto di numerose variabili. Il coming out anche in età adulta, allora, può essere l’opportunità di trovare nuovi orizzonti rispetto alle proprie relazioni e alle dimensioni di vita, (ri)scoprendo la natura dei legami.

Giulia Leto: Psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico e sessuologa clinica. In ambito sessuologico, si occupa principalmente di disfunzioni sessuali individuali e di coppia, dipendenze sessuologiche e affettive.